(Aspetta, aspetta che rispondo al telefono. Pronto?)
Amica mia, è da tempo che non parliamo, non capitiamo negli stessi posti, ed i concerti non son certo i luoghi adatti a concentrarsi e completarsi. Bisogna ritagliare spazi, anzi, dedicarli, che coi ritagli e i tempi stretti non son possibili i racconti. Amica mia, cosa racconti, cosa mi accenni, come vivi in questi giorni? Ti affanni, ti appanni gli occhi dai pianti, e pianti i ragazzi gli uni dopo gli altri? Che devo dirti, di concentrarti su quel che cerchi, disegna cerchi e poi distruggili… sì, lo so, non ascoltarmi, non darmi retta, io che sono lento come una Caretta caretta rimasta a terra che cerca l’acqua. Dici che sono buffo perché mi immergo e non mi tuffo, perché rifiuto di fare rima con quel personaggio belga dei fumetti e cartoni, con la pelle blu, i pantaloni bianchi, che si muove in branchi, nei boschi, nei villaggi. Amica mia, mi piace dirti stupidaggini, perché parliamo di argomenti pesanti e ci è concesso distrarci, farci dei ritratti reciproci in cui specchiarsi per poi ritrarsi e ritrattare i fatti. Incontriamoci, mangiamo qualcosa dai piatti, dai cartocci, così mi spieghi i tuoi rapporti complicati, i nuovi sfoghi che si son palesati
Io ti racconto invece di come non riesco a sfogarmi, dei poteri magici che uso per controllarmi, delle situazioni normalmente assurde in cui sono solito ficcarmi. Amica mia, non guardiamo film assieme, non andiamo a divertirci: sono cose che fanno i conoscenti, non gli amici, sono scuse e gesti per occupare il tempo tra persone che non sanno cosa dirsi, che non voglion preoccuparsi. E noi siamo preoccupati, non parliamo mai del fatto che non ci siamo mai baciati. Ne parliamo adesso: perché, è ovvio, noi siamo la risposta alla domanda “possono due persone di diverso sesso dialogare a fondo senza che scatti un movimento od ingranaggio che si muove sempre nello stesso modo, e che non fa mai un rumore nuovo?”. Amica mia, siamo al telefono, i miei compari ridono, fanno battute allusive, mi diverto a dare loro risposte elusive. E non sarebbero compari se non sapessero dei miei poteri: li senti ridere con umorismi sottili e fittizi dovuti ai Fumetti della Gleba, e non ai servi della gleba. Cantami o musa del tuo lavoro, lo stai cercando? Ne hai trovato un altro? È un’occasione? Bada, le occasioni non esistono: se fai una scelta mentre stai male qualsiasi occupazione in poco tempo comincia a pesare, e tu a ripeterti e non capire come sia possibile che con un lavoro così comodo e stabile il tuo pianto rimanga inestinguibile, al limite tra l’angoscia del perfettibile e quel barile di irrisolutezza di cui non ti liberi né in una casa nuova né con una compagnia diversa, e queste cose le so perché anche io, e queste cose si disgregano con il tempo, amica mia, un millimetro dopo l’altro, occupando lo spazio astratto, soluzioni proprie, mai obsolete, mai prese in prestito come le diete, o perlomeno rimodernate, senza rispetto per chi le ha prestate. Amica mia, quando mi riporti un libro fai sì che sia spiegazzato, senza copertina, tutto scritto e sottolineato. Dai, vediamoci per parlare. Stai spendendo troppi soldi: in questo modo non posso usare i miei poteri, posso al massimo darti dei consigli. Sono troppe le persone di cui vedo il potenziale e che non mi permettono un’efficace interazione per pigrizia, per sfiducia o per diritto, che il mio non-rispetto lede, e si ritraggono. Dimmi quando invado troppo. Lo so, mi fermi, devi andare. Fammi sapere quando trovi un lasso spazio-temporale per camminare, parlare, fare merenda. Stammi bene – retorica a parte, ti saluto, persona densa