Nicolas Godin
La puttana di Closingtown: ’Affanculo
‘affanculo, dice Pat Cobhan. Si scosta dal bancone e si volta. Torno, dice. Passa accanto al tavolo dei fratelli Castorp, li saluta portando due dita a sfiorare la tesa del cappello. Nero.
In gamba, Pat?
Sì, signore.
Vento bastardo, oggi.
Sì, signore.
Non la smetterà mai.
Mio padre dice che si stancherà.
Tuo padre.
Dice che nessun cavallo può galoppare per sempre.
Il vento non è un cavallo.
Mio padre dice di sì.


Dice così?


Sì signore.
Digli che si faccia vedere, ogni tanto.
Sì signore.
Diglielo.


Sì signore.


Bravo.




Pat Cobhan saluta e va verso lo scalone. Guarda in cima e non vede niente. Sale qualche gradino. Pensa che vorrebbe avere una pistola. Suo padre non vuole che lui giri con una pistola. Così non ti metterai nei pasticci. Nessuno spara a un ragazzo disarmato. Si ferma. Getta uno sguardo alla pendola, giù, dietro al bancone. Non riesce a ricordarsi esattamente quanto tempo è passato. Cerca di ricordarsene, ma non riesce. Guarda il saloon da lassù e pensa che è come essere un uccello appollaiato su un ramo. Sarebbe bello aprire le ali, sfiorare la testa di tutti e andarsi a posare sul cappello del cieco che suona. Avrei penne lucide, nere, pensa mentre con la mano destra controlla nella tasca dei pantaloni la sagoma dura del suo coltello. Piccolo coltello, la lama piegata dentro l’anima di legno. Guarda davanti a sè e non vede niente. Una porta chiusa, senza rumori, niente. Sono solo uno stupido, pensa. Rimane fermo lì, abbassa lo sguardo, vede il suo stivale sul gradino. Polvere spessa sul cuoio consumato. Dà due colpi, col tacco, sul legno. Poi china e con un dito si lucida la punta. In quell’istante sente da sopra arrivare il rumore secco di uno sparo, e un urlo breve. E capisce che tutto è finito. Poi sente un secondo colpo, e, uno dopo l’altro, il terzo e il quarto e il quinto. Rimane immobile. Aspetta. Ha uno strano ronzio in testa e tutto sembra lontano. Sente qualcuno che lo spintona, e gente che corre gridando su per lo scalone. Negli occhi ha la punta lucida del suo stivale. Aspetta. Ma non sente nulla. Allora si rialza , si volta e scende lentamente lo scalone. Attraversa il saloon, esce, sale a cavallo. Cavalca tutta la notte e all’alba arriva ad Abilene. Il giorno dopo riparte, verso nord, attraversa Bartleboro e Connox, costeggia il fiume fino a Contertown, e per giorni cavalca verso le montagne. Berbery, Tucson City, Pollak, fino a Full Creek, dove passa la ferrovia. Segue i binari per miglia e miglia. Quarzsite, Coltown, Oldbridge, e poi Rider, Rio Solo, Sullivan e Preston. Dopo ventidue giorni arriva in un posto chiamato Stonewall. Guarda la cima degli alberi e il volo degli uccelli. Scende da cavallo, prende un pugno di polvere e la fa scivolare piano tra le dita. Non c’è vento, qui, pensa. Vende il cavallo, compra una pistola. Cinturone, fondina e pistola. La sera va al saloon. Non parla con nessuno, rimane tutto il tempo seduto a bere e guardare. Li studia tutti, uno per uno. Poi sceglie un uomo che sta giocando, mani bianche e senza calli, speroni luccicanti. Una barba tagliata sottile, con cura e tempo.