Già in Parmenide Lei è più di una visione mitica: è la forza costrittiva della nuova logica che limita, l'essere definito finito unico e fermo, fuori dal tempo e quindi eterno, dalla tautologia. L'essere è e non può non essere: la sua teoria, il fondamento della futura ontologia, nega con il tempo ogni mutamento come un'apparenza alla quale i sensi ci stanno trattenendo. Mentre per Eraclito la pluralità è un divenire dominato dal Logos e quindi tutto è un'unità, fuoco per l'eternità, si spegne e accende regolarmente, tra un'opposto e l'altro diveniente. Niente scappa, ogni ente dipende dal fato che in Eraclito ha valenza densa e mai astratta, mentre in Sofocle soffoca i personaggi, i quali soffrono senza scelta per i destini tragici. L'analisi diviene antropocentrica, come Gorgia che gioca con la sua logica negando l'empietà di Elena avvelenata dalla retorica; non ha colpa: la guerra di Troia ha una necessità storica. Il male volontario è la questione che anche Socrate pone: egli afferma che la conoscenza del bene purifica l'azione e che chi fa del male non ha scelta poichè ignora la strada migliore. Ancora la morale è il motore, per la quale Aristotele il professore vede la necessità come un problema, infatti se chi sbaglia non ha colpa non avrebbe senso l'esistenza della pena; non risolse con il suo sistema, mentre Epicuro fu il più buddhista, rinnegò Ananke ma come ogni dogma che rattrista, parlò di atarassia come armonia selettiva, seguiva solo i piaceri fondamentali come asseriva nella sua lettera a Meneceo, mentre la corrente nata dal concetto di Logos eracliteo fu lo stoicismo fedele ad Ananke, convinto che il destino guida chi lo accetta e trascina chi è riluttante, la ragione è fonte di ogni soluzione come l'apatia e il dominio sopra ogni passione. Solo un uomo colse il carattere regressivo della civiltà ritornando alla semplicità, come un cane soddisfava in pubblico le sue necessità, oltre le abitudini come la proprietà, egli più che parlare era una verità: Diogene, il Socrate impazzito