Duemilaotto. Ho diciassette anni, e quando voglio buttarmi nel fuoco dei rapporti personali arrivi tu, umano, e tiri fuori gli estintori: lanci polvere ignifuga inerte che spegne automaticamente le mie pulsioni. Ho bisogno di equilibrio, e per compensazione è l’incendio che si contrappone all'essere esposti al pubblico ludibrio: “guardatelo, piange!”, “guardatelo, è diventato rosso!”, “fornisce un parere non richiesto”, “guarda come i genitori lo vestono”, “ti lasciano a casa da solo con il rubinetto del gas aperto?”: certo, altrimenti come posso prepararmi da mangiare? “Cosa stai facendo? Per accendere un fuoco devi essere scout!”. Come no, guarda! Mio padre insegna: diavolina, carta, legna piccola! A dieci anni con questo metodo ho dato fuoco a una casupola. Quando qualcuno mi manipola, mi dice che sono ridicolo, gli lavo il motorino con benzina e poi lo asciugo con fiammifero. Dai, che poi te lo ricomprano! A scuola i professori mi ricoprono di insulti: “non studi!”, “non ti impegni!”, “sei meno di quello che potresti!”, ed io li prendo sul serio. Capisco in modo tardivo che, mentre gli umani mi denigrano, io nel mio piccolo mi sento creativo: non è vero che non so fare niente, è solo che imparo più velocemente giocando che leggendo un libro. I miei problemi di adolescente li traslo nello spazio ricreativo: scopro la chimica dall'empirismo bruciando materiali e detersivo. Ogni giorno imparo e vi trasmetto il mio sapere: scopro l’utilità delle cose incendiando il tuo cellulare; prima che tu vada al mare, fuoco agli ombrelloni, sdraio, asciugamani. Devi vedere le vampate dei tuoi cari che si propagano dai loculi dei cimiteri. Mi piace farti mancare la terra sotto i piedi, e finalmente ci sentiremo uguali, umano, e potremo parlare mentre guarderemo bruciare la tua casa, la tua macchina, il tuo locale circostanziale, la tua copia di giornale, ogni tuo effetto personale, umano, una fabbrica abbandonata dove si è svolta una festa drogata, il negozio di vestiti, borse, zaini, i tuoi DVD preferiti. Hai un potere su questi oggetti, ma tu li lasci inutilizzati, ed eccomi qui: rispetto i patti, tu mi castighi per i miei slanci, mi insegni le regole per comportarmi, ed io ti spiego la catarsi. Mi diverto guardando gli oggetti infiammarsi: ognuno ha tempi, temperature ed effetti diversi: guarda, umano, guarda come al degradarsi dei legami i poteri calorici diventano immani. La fiamma che vedi sviluppata è l’equivalente dell’energia impiegata nella costruzione di ogni singolo pezzo della tua proprietà privata. Ammira il potere di quello che possiedi, sacrifica un oggetto all'imbarazzo che trattieni
Sempre problemi, sempre molestie, sempre vincoli, sempre litigi tra finestre e finestre, sempre cavilli, sempre giochi di cui pochi direi divertenti… Tu mi rallenti, umano, tu mi rallenti! Io sono veloce: la mia emozione si infiamma rapida e poi divampa nel rossore. Il tuo pallore generale, umano, non mi produce contrizione, esco di giorno e di notte mescolandomi con le persone. Nelle mie tasche accendini, carta, esche, deodoranti in bombolette. Sulla mia faccia fuliggine e macchie nere: non le detergo perché si deve vedere, lo devi capire, umano! Tu mi guardavi con distacco ed io per questo mi emozionavo. Il tuo rispetto per gli altri è un lago, io sono una foresta in fiamme che mette al rogo il tuo senso del vago. Non mi hai mai permesso un fremito o un gesto che fosse scomposto o fuori posto, ormai non posso neanche più guardare una ragazza ed essere commosso nel mio sentirmi cotto come un arrosto. Non ho mai abitato nello stesso posto per più di un lustro, e dovunque stessi c’erano gli stessi insistenti umani persi nei mali interpretati dogmi del “bisogna essere sé stessi”. Se io non stessi per dare fuoco ai vostri plexiglass opachi scoprireste ben presto che non sono cristalli, e voi non siete trasparenti tra di voi, perché siete graffiati o scartavetrati. Siete fermi. Parlate di realtà quando vi si propongono i simboli, shiftate sui simboli quando l’argomento è irreale: siete la gente comune, per voi è solo normale! È un errore aspettarsi comprensione da chi zittisce le altre persone. Io sono l’imbarazzo di una madre che non punisce il figlio piccolo sentendolo gridare in luogo pubblico, dove qualcuno la potrebbe rimproverare: “piangi, figlio mio! Fai sentire a questi cretini che i tuoi vagiti sono normali, che sono passaggi necessari per imparare a comunicare con questi stupidi esseri umani”. Io sono le mani nelle tasche di un dodicenne, il quale subisce molestie al limite tra verbali e fisiche dalle sue compagne di classe più grandi ed impudiche, che si ritengono le uniche ad essersi concesse prima che tutto il loro corpo lo volesse. Io sono le affermazioni oneste richieste che vengono intese come menzogne dalla stessa persona che te le richiede. Io sono la timidezza di una ragazza che disprezza il termine “timida”, e per questo recita a teatro, nuda veritas, un testo di tragedia. Il suo pubblico, vedendola soffrire, sobbalza sulla sedia. Il suo pubblico tornerà a casa la sera e troverà l’auto bruciata, perché io so che continueranno a provare imbarazzo usando il termine “timida”, dicendole “brava” e non sapendo cosa significa. Tu opta pure per la lettura psicologica, umano: ti dico subito che la mia non è vendetta. Non brucerei mai un umano, che sia un ragazzo, un impiegato o una vecchietta. Voglio convivere e sorridere con chi mi è differente, voglio circondarmi da persone dinamiche dalle diverse etiche, altrimenti vedrete gli incendi sempre come immagini drammatiche, e non come manifestazioni energetiche dell’accelerazione delle molecole. Ci vuole tempo, ma io confido nel fatto che prima o poi