Uochi Toki
Dal club alla strada
Discoteca, tangenziale, falene, fanale, finale col Fele che dorme e strade morte, svolte a destre, rotonde, rombano gli alberi a camme, mentre gli altri pescano le ultime canne, io disegno un diagramma a canne, statistiche, torte, mastice nelle palpebre down egomane, mi chiedo se sia lo stesso per un eroinomane, forse non ho il permesso di sentirmi simile, paragone azzardato: nel mio malessere le sostanze non hanno mai interferito, non ho il diritto di essere compatito oppure additato ed odiato oppure sopportato e copiato. Domani mattina sarò in piedi alle nove e un quarto, non esiste il momento in cui sono annebbiato e non so bene cosa ho fatto e detto perché l’ho dimenticato. Chi mi capisce, metafore viscide, il party finisce, ti senti bruciare come il tuo albero di Natale, la tua voce appare e scompare come un albero di Natale. La qualità non ha il tuo nome, ti sveglierai sdraiato sulle poltrone, paragonato a bottiglie vuote, antidolorifici! Antidolorifici! Questo è ciò che andrai cercando. Come stai vivendo il tuo down post festa? Davvero, mi interessa. Io sono lucido più di una finestra aperta, la mia tristezza è complessa e completa e compressa e compresa tra le pareti di lamiera di questo veicolo che mi riporta a casa insieme a gente che non bada alla strada e parla dell’impresa compiuta. Non sono un aspirante suicida, non ascolto Ok Computer, faccio bilanci a serata conclusa e mi chiedo "scusa, ma non si era detto che avremmo messo a soqquadro il concetto di divertimento? Che ci saremmo baloccati con questo e con quello? Che avremmo contrastato con sinergia l’idolatria della gente qualsia-si per i divertimenti da svolgersi nei sabati?" Invece siamo qui a compiangerci nei miei infiniti plurali maiestatici di come siamo stati fragili e fradici di poca influenza, di come trabocchiamo di impudenza ma non riusciamo mai ad usarla: è come avere in tasca solo monete da una dracma. La differenza tra il vostro impreciso distacco e la nostra reale indipendenza è troppo sottile, troppo facile da negare, tanto che potrebbe annegare nella tua bocca quando porti alle labbra il bicchiere mentre la stai per pronunciare: non hai scuse. Conosco chi riesce a bere o fumare o manipolare la percezione senza farsi soffocare nelle spire della confessione e compassione e congestione e concessione. Il problema sta altrove: lo cercherò in un’altra situazione. Domani mattina alle ore nove chiudo lo schema e sono in furgone, mi attacco al finestrino e rido con le persone che si divertono ancora nonostante sia finita la missione, l’ammissione che devo fare è che la depressione per me dura al massimo un paio di mezzore. È assolutamente naturale il fatto che io sia peggiore di te perché non voglio avere scuse. Faccio rap che viene dalle strade, soprattutto da quelle per andare nei posti e per tornare nelle case
"Che botta, oh, cazzo"
"Mio il divano"
"Pijalo"
"Chi è che c’ha le papelle?"
"Io. Là sopra"
"Guardiamo qualcosa?"
"lo sapete cosa mi andrebbe troppo da Dio?"
"Ritorno al futuro?"
"No, troppo botta"
"Io mi guarderei Twin Peaks. Una puntata."
"L’avete visto voi?"
"Dai con le musicazze"
"Non l’ho visto, l’ultimo"
"Vai vai allora"
"Metto su"
"Cazzo che fatica"